mercoledì 25 ottobre 2017

ANTEPRIMA IN LIBRERIA



IN ANTEPRIMA NAZIONALE PROPONIAMO UN ESTRATTO DEL LAVORO, A CURA DEL PROF. CHRISTIAN DEL PINTO, DOCENTE DI SCIENZE MATEMATICHE PRESSO LA NOSTRA SCUOLA SECONDARIA F. SAVINI (CLASSI IB, I F, IIIF), CONTENUTO IN  UN VOLUME PUBBLICATO DALLA CASA EDITRICE  ACADEMIA DI BOLOGNA, CHE SARA' PRESENTATO IL PROSSIMO 4 NOVEMBRE (tutti i diritti riservati):



I terremoti: impatto sociale e percezione mediatica
- Christian del Pinto -

In tempi recenti, tra i fenomeni naturali che hanno ottenuto una maggiore risonanza a livello mediatico, di certo il terremoto ha tristemente mantenuto un posto di primo piano. Tale evento, infatti, è sempre stato visto come qualcosa di non direttamente prossimo ed incombente nel tempo e nello spazio, la cui occorrenza risultava ben localizzata e circoscritta in una determinata area geografica - e quindi non interessava in maniera diretta le zone limitrofe - e la cui manifestazione era così rada negli anni da far acquisire, nel senso comune, la considerazione di eccezionalità. Di certo complice, in tutto questo, la mancanza di un terreno fertile di predisposizione - sia da parte delle Istituzioni che dei semplici cittadini - alla basilare informazione scientifica correttamente divulgata, veicolata e compresa. Si pensi, ad esempio, alla confusione che comunemente persiste tra Scala Mercalli e Scala Richter, tra Magnitudo Locale e Magnitudo Momento, tra Intensità Epicentrale ed Intensità Massima. Confusione che spesso, nell’incontrollata arena dei social network, tanto fertile alla proliferazione di intere greggi di complottisti, fa gridare alla manipolazione politica del dato scientifico per chissà quali bieche manovre.
Il terremoto come problema reale, come evento imprevedibile in grado di generare lutti e di azzerare interi contesti sociali, veniva, fino a qualche tempo fa, percepito in maniera ovattata e non sentito in prima persona, almeno dalla maggior parte della popolazione.
Solo in tempi più recenti la sensibilità verso tali eventi è iniziata a mutare. Si pensi, ad esempio, ai terremoti dell’Umbria-Marche del 1997 che, oltre le vittime, causarono la distruzione degli affreschi di Giotto e Cimabue presenti sulla volta della Basilica di San Francesco in Assisi, mettendo anche in luce il primo caso eclatante di errore di valutazione, commesso da una preposta struttura istituzionale, in riguardo ad un fenomeno complesso come il terremoto, affrontato troppo spesso con superficialità e senza comprovata metodologia scientifica. Nel 2002 il terremoto colpì il Molise, causando il totale azzeramento di un’intera generazione di nati nel borgo di San Giuliano di Puglia, tra l’altro in tenera età, per il crollo della scuola in cui si trovavano. Ciò portò all’istruzione di un procedimento penale - a più riprese sottoposto alle attenzioni della cronaca - ai danni di tutti coloro (costruttori, progettisti, tecnico comunale e sindaco) che avevano avuto a che fare con la ristrutturazione dell’edificio scolastico crollato, soprelevato con un pesante primo piano in cemento armato rispetto ad un già presente piano terra in muratura.
L’evento che, più dei precedenti, ha fatto prestare attenzione ai fenomeni sismici è stato quello che ha distrutto L’Aquila nel 2009, che, oltre ad aver causato 309 vittime, è stato responsabile della grave distruzione del centro storico e della conseguente seria compromissione del tessuto sociale del capoluogo abruzzese. Tale situazione ha messo oggettivamente in luce tutte le criticità del sistema per la gestione dell’emergenza e della comunicazione tra le parti coinvolte (amministratori locali, addetti ai lavori e cittadinanza), senza la cui sinergia non può essere attuato un serio programma di prevenzione. Il terremoto, infatti, non può essere previsto né evitato, e l’unica “arma” che si ha a disposizione per limitarne gli effetti è proprio la prevenzione. Il primo passo per la prevenzione è quindi la conoscenza, più accurata e capillare possibile, del territorio. È quindi ottimale favorire l’installazione di rete di monitoraggio locali, i cui costi possono essere agevolmente affrontati con l’impegno dello Stato o di qualche ulteriore Istituzione. Naturalmente, tutto ciò parte da un discorso di sensibilizzazione di coloro che tali Istituzioni le amministrano.
Il terremoto del 6 aprile 2009, pur restando imprevedibile nei propri dettagli, non fu improvviso: uno sciame sismico stava interessando l’area già da diversi mesi, con eventi che andavano aumentando progressivamente in numero e in magnitudo. L’oggettiva ed evidente superficialità dei membri della Commissione Grandi Rischi nel valutare, da un punto di vista strettamente scientifico, l’evoluzione della situazione sismica nell’Aquilano, pose le basi per una loro convocazione a penale giudizio, per aver trasmesso alla popolazione messaggi rassicuranti privi di reale fondamento.
Dal punto di vista mediatico, l’intera vicenda fu proposta, da quasi la totalità delle testate giornalistiche, come un “processo alla Scienza”, in cui gli imputati furono addirittura paragonati a Galileo Galilei alle prese con una sorta di moderna Inquisizione, che avrebbe voluto condannarli “per non aver previsto il terremoto”. In tale confusione diffusamente schizoide, chi trovò fertile terreno e riuscì ad approfittare furono i ciarlatani che venivano ad affacciarsi agli “onori” della cronaca proponendo le proprie bizzarre teorie previsionali prive di qualsiasi scientifico rigore, in antitesi ad una Scienza ufficiale che aveva miseramente fallito nei suoi intenti di applicazione di teoriche conoscenze alla realtà contingente. Questi “pseudoscienziati” fatti in casa, privi di qualsiasi esperienza accademica e di qualsivoglia specifica competenza, andavano ormai acquisendo sempre più popolarità, anche grazie a giornalisti che arbitrariamente attribuivano loro altisonanti titoli in realtà inesistenti, interessati a supportare più chi poteva garantire una maggiore visibilità rispetto a studiosi oggettivamente competenti, al punto da essere ripetutamente consultati quali “esperti” da Amministratori locali - alcuni dei quali arrivarono addirittura a finanziarne le insensate “ricerche” - in sostituzione dei reali addetti ai lavori. Tutto ciò contribuì a limitare, in maniera ancor più drastica ed insanabile, la diffusione di una corretta cultura scientifica e di un comune senso critico nella collettività dei comuni cittadini.
Risulta ovvio che un’errata caratterizzazione sismica di una zona induca a sottovalutare, sia da parte di Enti istituzionalmente preposti che da semplici cittadini, il reale rischio sismico legato ad una determinata area. Talvolta, la limitata conoscenza della sismicità storica di una zona, legata soprattutto all’assenza di eventi recenti congiuntamente alla povertà di fonti storiche e riscontri geologici, genera nella popolazione che vi abita la falsa sicurezza di vivere in un’area che con i terremoti abbia poco o nulla a che fare. È il caso, ad esempio, della Pianura Padana, la cui intrinseca sismicità è stata per decenni sottovalutata, fino al terremoto del 2012. Ma anche in una zona notoriamente sismica, come quella tra Abruzzo, Lazio, Umbria e Marche, recentemente interessata da eventi sismici di una certa rilevanza, non è stata fatta alcuna prevenzione, nonostante le numerose ed oggettive evidenze storiche e scientifiche comprovanti l’elevato grado di rischio sismico ad essa associato. Si è giunti addirittura a negare l’esistenza di strutture sismogenetiche finché queste non si sono espresse (caso della struttura sismogenetica di Montereale, 2017).
La cattiva gestione dell’informazione e la comprovata insensatezza di alcune dichiarazioni diffuse a mezzo stampa, da parte di realtà istituzionali preposte all’analisi del rischio sismico e dei suoi effetti sul territorio, hanno ulteriormente indotto un capillare stato di disinformazione e confusione tra la popolazione. Che l’intero Appennino sia zona sismica, è cosa risaputa. Che le sue aree abitate siano a rischio è palese. Che si debba iniziare a realizzare, in maniera collettiva, un programma serio di prevenzione sismica è ovvio. Resta comunque ingiustificabile fornire notizie non provate dal punto di vista scientifico o addirittura palesemente errate, soprattutto se veicolate da organi ufficiali. Il compito degli “addetti ai lavori”, in particolare nei casi di forte interferenza mediatica come questo, non può prescindere dalla diffusione capillare e costante di un’informazione che risulti scientificamente coerente.
Solo se c’è sinergia tra Amministratori, Esperti e Cittadini, può essere diffusa nella popolazione la “cultura alla prevenzione”, che si traduce nei comportamenti quotidiani di messa in pratica di quelle norme di sicurezza che, in caso di evento sismico, possono fare una profonda differenza. Come, ad esempio, il costruire in maniera ottimale l’edificio in cui si dimora. La prevenzione parte quindi dalla conoscenza capillare del territorio portata avanti con reti di monitoraggio che producono dati in tempo reale che vengono analizzati da personale esperto, transita nei luoghi in cui vengono definiti i piani regolatori e di fabbricazione delle aree urbane, che fungono da vincoli per la realizzazione degli edifici in cui i comuni cittadini vanno ad abitare. Il processo è lungo, ma prima si inizia e prima esso può giungere a compimento.
Se non vi è coinvolgimento di personale esperto da parte delle Istituzioni, se c’è la più totale assenza di interesse dei locali Amministratori a sviluppare progetti di prevenzione, se la Scienza ufficiale non risulta sempre degnamente rappresentata dai propri esponenti, le conseguenze risultano drammatiche. Si assisterà, infatti, allo sciacallaggio pseudoscientifico di chi agisce per personali fini economici ed alla proliferazione di “teorie” insensate veicolate come verità assolute. Ciò comporterà una disinformazione scientifica del cittadino con incontrollati episodi di panico, isterismi e psicosi collettive. E queste non sono mere ipotesi poiché, nei teatri dei recenti eventi sismici, tutto ciò è già avvenuto e continua ripetutamente ad avvenire.

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